IMPROVVISAZIONE NELLA DANZA

Una cura per corpo e mente

 
Come si comporta un* ballerin* di danza moderna su un palcoscenico?

 

Certo seguirà delle tecniche, avrà accumulato con studio ed esperienza delle competenze che gli consentiranno di mostrarsi ai nostri occhi come un abile professionista pronto a farci incantare con i propri delicati movimenti. Ma non tutto si deve alla tecnica. Anche nella danza, come in tanti altri ‘settori artistici’, è presente un alter ego, ovvero una certa dose di improvvisazione. 

«L'improvvisazione nella danza non è altro che la realizzazione spontanea dei movimenti». 

Facciamo un balzo indietro nel tempo e torniamo negli anni Sessanta. 

Questi non furono solo gli anni di Martin Luther King, della guerra in Vietnam, dello sbarco sulla Luna; furono anche gli anni in cui lo psicologo James Jerome Gibson sostenne la teoria secondo la quale animali e esseri umani considerano il loro ambiente circostante non in modo oggettivo ma in base al loro potenziale comportamentale. In altre parole, percepiamo immediatamente ciò che vediamo in termini di come pensiamo di poter interagire con esso. Tempo dopo altri studiosi hanno riadattato questo termine per spiegare il meccanismo che si innesca durante l’improvvisazione. La parola che racchiude tali considerazioni è Affordance. Con questo termine si indica in generale la qualità fisica di un oggetto che suggerisce a un essere umano le azioni appropriate per manipolarlo. Per esempio una superficie piatta possiede l'affordance di camminare sopra ad essa; l'aspetto esterno di una caraffa d'acqua - con manico laterale e beccuccio - permette all'utilizzatore di dedurne intuitivamente le funzionalità, anche senza averla mai vista prima. Affordance è «ciò che offre la possibilità di un’azione non ancora intrapresa (e che non necessariamente verrà di fatto intrapresa)». Pensando a questa definizione nel campo del movimento, possiamo quindi sostenere che un movimento agevola quello successivo. 

Ciò avviene anche nella danza, la quale ha a che fare con l’affordabilità dello spazio. Un performer sulla scena infatti ha bisogno di percepire lo spazio tra i corpi, tra i volumi, tra gli spazi e a questi spesso può reagire in modo improvvisato. Nel mondo della danza esistono in particolare 5 basi comuni fondamentali per eseguire una buona improvvisazione:

  1. Responsività: ovvero capacità dell’organismo di adattare all’ambiente le proprie funzioni vitali. Ciò implica una rapida reattività agli stimoli forniti da musica, corpo e spazio in breve un arco di tempo, perché, a differenza della coreografia, la composizione improvvisata avviene immediatamente.

2. Estemporaneità: benché una buona improvvisazione richieda anni di allenamento e conoscenza di sé e del proprio corpo, il movimento improvvisato accade senza che sia precedentemente preparato e sviscerato.

3. Inseparabilità: composizione ed esecuzione sono atti inseparabili, il processo creativo si mostra nel momento in cui accade.

4. Originalità: ogni performance non sarà mai uguale a un’altra, ma sarà unica e irripetibile, sorprendendo lo spettatore e spesso il danzatore stesso.

5. Irreversibilità: improvvisando si entra in un flusso di movimento in cui da un passo ne nasce un altro, e poi un altro. Una volta nato un certo gesto, non ci si può fermare e tornare indietro per cambiarlo. Si va avanti, sempre, sfruttando il passo precedente, anche quando un* ballerin* non ne è pienamente soddisfatto. 

Per un* ballerin* improvvisare significa anche ricevere stimoli pronti a liberare le potenzialità più nascoste. Ciò contribuirà sia ad un miglioramento fisico nelle articolazioni e nei muscoli, sia ad un miglioramento psichico. Una cura dunque per corpo e mente.

Si dice poi che un* ballerin* quando si esibisce debba in qualche modo mettere da parte l’ego, abbandonare le proprie manie di protagonismo e farsi cullare dal panta rei degli eventi. Ascoltare il contesto che l* circonda e accettare che le azioni degli altri servono anche a capire come e quando dare loro spazio, nell’ottica di valorizzare la composizione totale. Si diventa dunque un bellissimo unicum. 

Attenzione però: per agevolare questa comprensibilità è molto importante che i performers siano capaci di dosare molto bene la durata di ogni singola azione e la quantità di azioni che si stanno svolgendo in scena. Infatti un’eccessivo accumulo di frasi danzate rende illeggibile la dinamica che si instaura tra i performers in azione, come d’altro canto esiste un tempo fisiologico per il pubblico di assimilazione di un’azione, per cui a volte l’uso di pause e fermate aiuta a spezzare il flusso di movimento e a renderlo leggibile.  Il termine che si usa in queste situazioni è “asciugare”, che si intende sia nel fatto di chiarire l’affermazione che si ha intenzione di proporre con tale movimento, sia nel senso di ridurre la quantità di proposizioni, trovando invece un modo di valorizzare anche quelle degli altri, affidandosi appunto all’affordabilità di tali movimenti.

 

Volete prendervi cura di voi stessi? Provate a danzare. 

 

di Giulia Donnarumma

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